A cura di Silvia (03/2016)
Voto:
Spesso le cose non vanno come dovrebbero o per meglio dire, come
avremmo voluto.
Tanti autori ci hanno abituato a sbirciare nuove e (im)possibili realtà
grazie alle affascinanti teorie dei mondi paralleli, ma Lavie Tidhar
non sconfina nel paranormale, preferisce
affidarsi direttamente nell'ucronia e riscrivere la Storia.
Una sorta di ripicca, di sberleffo, di rivincita. Vendica così, in
parte, tutte le vittime dell'olocausto, raccontandoci di un Hitler che
ha perso le elezioni e non è mai salito al potere, del comunismo che
come un morbo letale ha annientato il nazionalsocialismo e di una
Germania invasa dalla Russia che si è trasformata nel paradiso degli
ebrei.
Wolf/Htiler, come molti altri ex leader nazisti, vive sotto falso nome
in una Londra di assassini e puttane, trafficanti e ladri, tra
politici corrotti e uomini avidi di potere. Ormai non è più nessuno, se
non un uomo grigio con
un completo grigio... Pochi soldi, poche prospettive, solo
tanti sogni infranti e un ammasso di ricordi poco piacevoli. Anche i
suoi baffi sono finiti nel dimenticatoio, un taglio netto con il
passato e con quella persona che doveva essere e non è stata, una
persona che in molti nemmeno riconoscono più. Ed è questo il gioco di
Tidhar, spersonalizzare
al massimo la figura di un uomo che credeva di poter plasmare il futuro
come se fosse argilla e renderlo il più comune possibile.
Wolf non è il cattivo che ci aspetteremmo di leggere, ma allo stesso
tempo non è nemmeno così lontano dal nostro immaginario collettivo.
L'odio razziale gli sconquassa le viscere, pratiche sadomaso estreme
gli instillano un insano piacere, è irascibile, arrogante, pieno di
nevrosi, ma è palesemente un uomo sconfitto per cui è facile provare
anche
pietà.
Tidhar durante la lettura riesce a strappare sorrisi e smorfie
di disgusto con la stessa facilità. Non ho ancora capito fino a che
punto vorrebbe che il suo romanzo fosse preso sul serio, ma una cosa ce
la insegna: non è mai un
solo uomo a fare la Storia. Magari cambiano i tempi, i
luoghi, le persone, ma determinati cicli sono destinati a ripresentarsi
prima o poi. E ci sa decisamente fare quest'autore israeliano dalla
penna intrisa di sangue, sa giocarsi bene le carte, sa rigirare la
frittata con abilità, ed è anche paradossalmente credibile nel farlo.
Nella sua storia tutto è ben amalgamato: il pulp, il noir, il giallo;
mentre nei lussuosi salotti dell'aristocrazia londinese incontriamo Ian
Fleming e sentiamo parlare di Marx, Freud, Einstein, i vicoli
di Londra si riempono dei cadaveri di prostitute uccise per mano di un
assassino senza volto. Ed è su Wolf che cadranno i sospetti. Lui che
non aveva già abbastanza problemi e si era trovato costretto (per soldi!) ad
accettare il caso di Isabella Rubinstein (un'ebra!!!) adesso
deve
anche dimostrare di non essere il "mostro" che dicono.
Che ironia della sorte, non trovate?
Wolf è un romanzo decisamente crudo, a tratti grottesco e indiscutibilmente geniale. Mi sono divertita, mentre lo leggevo, a cercare informazioni su Internet per vedere quali tasselli del puzzle si era divertito a smontare e quali personaggi aveva "scomodato" Tidhar; ovviamente non vi rivelo l'epilogo, ma sappiate che lo sconfigge con la penna il suo Hitler. E li vendica con un libro vincitore del British Fantasy Award quei nonni con cui non è potuto crescere per colpa della pulizia etnica nazista.
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