A cura di Silvia (04/2014)
Voto:
Dopo una serie di racconti horror, Wulf Dorn decide di cambiare genere
e nel 2009 pubblica un thriller psicologico che in breve tempo scala le
classifiche di vendita e si trasforma in un vero e proprio caso
editoriale. La
Psichiatra folgora, ammalia e stupisce in ogni parte del
mondo, ma come spesso mi capita davanti a fenomeni di questa portata
invece di venirne attirata ne vengo respinta. Ma non è un problema,
tanto lo so che prima o poi arriverà il "suo" momento, devo solo saper
aspettare... e così faccio...
Marzo 2014, La
Psichiatra mi viene offerto durante uno scambio, che sia
un segno del destino? Accetto senza indugio (tra l'altro era in wish list da
anni!) e lo inizio subito, d'altronde procrastinare
ulteriormente non avrebbe senso, eppure fin dalle prime pagine sento
che qualcosa non funziona.
Penso che sappiate benissimo quanto sia frustrante cercare qualcosa tra
le parole che si leggono e non riuscire a trovarlo, soprattutto quando
le voci che frullano in testa sono sempre le medesime "Perché non riesco a vederci
quello che per tutti è palese? Perché non riesco a farmi coinvolgere?
Perché questo libro non mi sta piacendo?" Ma ogni lettore
ha una propria personale storia fatta di romanzi amati e odiati, di
letture deludenti e esaltanti, di autori che se non si fossero mai
"incontrati" sarebbe stato meglio e di altri a cui si vorrebbe poter
stringere la mano e dare una pacca sulla spalla. Tutto questo ci rende
i lettori che siamo.
Io per esempio ho scoperto Fitzek prima di Dorn e nonostante le
numerose somiglianze il primo mi ha stravolto, il secondo mi ha
lasciata indifferente. (Considerazione:
se avessi scoperto prima Dorn sarebbe stato diverso?)
Entrambi tedeschi, entrambi caratterizzati da uno stile asciutto e
scarno, entrambi abili burattinai, sia Fitzek che Dorn affidano la
narrazione al susseguirsi degli eventi dimenticandosi di dare spessore
e carattere ai loro personaggi, ma se il primo riesce a essere dinamico
e incalzante, il secondo risulta inutilmente prolisso e tedioso. Ne La Psichiatra per
esempio ci
sono continui depistaggi travestiti da colpi di scena, ma quando si
scrive un thriller psicologico dove tutto è avvolto da un certo nonsense
in attesa del finale chiarificatore, bisogna avere tecnica. Wulf Dorn ha raccontato una bella
storia, ma l'ha raccontata male.
Il lessico usato è troppo povero di vocaboli, le figure retoriche sono
elementari, i dialoghi addirittura infantili e ci sono anche un paio di
cadute di stile che si potevano evitare (vedi l'inserimento in extremis
dell'haker per arrivare alla solizione del caso).
La storia di Ellen Roth,
psichiatra ventinovenne disposta a rischiare la propria vita pur di
scoprire che fine ha fatto la paziente misteriosamente scomparsa dalla
camera numero 7, l'ho
vissuta attraverso un vetro, al riparo dalle paure e dalle emozioni. E
dire che Dorn usa lo spauracchio dell'Uomo Nero per intimorire, per
incutere ansia, per risvegliare i mostri del passato, ma niente, anche
questa figura che è l'archetipo del male non ha sortito l'effetto
sperato... solo il finale chiarificatore - in parte inaspettato, e
comunque appagante - ha salvato La
Psichiatra dall'essere una totale e cocente delusione.
Peccato. Tra l'altro adoro i thriller in cui le forze dell'ordine non
hanno un ruolo predominante per lo sviluppo della trama, li adoro ancor
di più se non fanno parte di nessuna serie, quindi La Psichiatra doveva piacermi. Poteva piacermi. E
invece...
In ogni caso non finisce qui. Sento che con Dorn ci rincontreremo,
perché non è ancora arrivato il momento di gettarlo nel calderone degli
autori
che voglio dare alle fiamme dimenticare.
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