A cura di Silvia (03/2013)
Voto:
Costance è così dolce
e così innocente
che al processo per l'omicidio della sua famiglia, morta avvelenata,
viene assolta. Da
quel momento lei, la sorella Mary Kathrine (detta Marrycat) e lo zio
Julian, gli unici sopravvissuti, vivranno segregati
nella loro grande casa al riparo dai pettegolezzi, dagli sguardi
sospetti e dai pregiudizi della gente.
Marrycat, la voce narrante, ci trasporta nel suo mondo solitario ma confortante, fatto di una routine appagante e inviolabile, scandita dalle pulizie, dal cucinare (compito di Costance), dalle rapide incursioni in città per fare la spesa e da piccoli rituali magici a protezione della grande villa. Ma per quanto faccia, un giorno qualcuno entrerà nelle loro vite: un avido cugino intenzionato a mettere le mani sul patrimonio di famiglia... e a quel punto verrà spontaneo chiedersi se era così sbagliato volersi proteggere da un mondo corrotto, avido e calcolatore, curioso e invadente.
Ed è con queste premesse che
Shirley Jackson ci
accompagna in una storia claustrofobica e paronoica,
un giallo psicologico "a camera chiusa", dove l'epilogo è
fin troppo prevedibile, ma non manca di colpire.
L'autrice è come una goccia che corrode lentamente, ha uno stile
moderno, veloce, immediato, e come ha detto Stephen King, non ha mai
bisogno di alzare la voce: tutta
l'anormalità della situazione è davanti ai nostri occhi, chiara e
lampante, quasi inspiegabile.
Peccato che ci siano dei "ma"...
"Abbiamo sempre vissuto nel
castello" mi ha fatto pensare a quei film dell'orrore in
cui un gruppo di bambine (rigorosamente vestite con pizzi, merletti e
nastri) intonano inquietanti filastrocche mentre fanno il girotondo o
saltano la corda,
ma com'è normale che sia, qualsiasi filastrocca, se ripetuta
all'inverosimile, perde d'effetto.
Per questo ho letto metà romanzo tutto d'un fiato, per poi rallentare,
perchè questo viaggio oscuro nella follia più pura dell'essere umano
sapevo già dove mi avrebbe portato. Sapevo chi era l'assassino ancora
prima che venisse rivelato, e quando il mio sospetto è stato confermato
non ho potuto fare a meno di chiedermi: "perchè?"
Ma forse sotto sotto lo sapevo già il perchè, o non
avrei potuto arrivare alle debite conclusioni con tanta
facilità. Forse alla
follia non si può nemmeno dare una spiegazione razionale. O forse le
risposte sono molteplici e ognuno si dà le proprie.
Una cosa è certa, la
Jackson non produce troppe spiegazioni, ma ci mette di fronte ai
fatti, sta a noi prenderne atto o meno.
Nonostante la parziale delusione non posso non riconoscere l'indubbio talento di un'autrice che ha ispirato scrittori come Stephen King e Richard Matheson, quello che ne esce da questa storia è qualcosa di assolutamente raccappriciante, ma con qualche pagina e ripetizione in meno lo schiaffo che colpisce il lettore avrebbe fatto più male.
Voto: 6 ½