A cura di Silvia (11/2015)
Voto:
Tra i romanzi a sfondo sentimentale young e new adult ce ne sono fondamentalmente di due categorie. Quelli che si basano sull'amore, sulle difficoltà che comporta viverlo, sulla passione incontenibile tipica dell'età, sugli ostacoli che il destino mette sul cammino dei protagonisti, e quelli che invece vogliono raccontare altro, addentrandosi in territori aridi e spinosi che spesso hanno a che fare con malattie e problematiche sociali. Molti autori hanno affrontato il tema della depressione e del suicidio (vedi Il Mio Cuore e Altri Buchi Neri), altri quello del cancro (vedi Colpa delle Stelle), ma mai mi era capitato di leggere un romanzo che parlasse della sindrome di Munchausen. Be', questo lo fa. Parla di una malattia che spesso si fatica a riconoscere, perché chi ne è affetto è un attore nato, un bugiardo cronico, una persona che indossa maschere con la facilità con cui si pettina i capelli la mattina prima di uscire di casa. Saylor Grayson è così. Vive per il dolore. Vive per essere ammalata, per attirare le attenzioni dei genitori, dei medici, del personale infermieristico. Ricoveratela una settimana (ma anche di più!) e sarà la persona più felice del mondo.
"Sapevo dare il giusto valore alla malattia. La corteggiavo perché veneravo il suo grandioso potere" Saylor |
Fare in modo che i batteri le sfondino il sistema immunitario
è lo scopo della sua esistenza, un'esistenza fatta di rabbia e
superficialità emotiva, di gesti attui a ferire se stessa per colpire
di riflesso gli altri. Sia chiaro, non vuole morire, vuole solo
soffrire, vuole trovarsi
in bilico tra la vita e la morte per attirare su di sé quanta più
compassione possibile.
Tutto è iniziato quando a sette anni ha ingoiato un ago e da lì non si
è più fermata, il tempo le ha solo permesso di affinare la sua arte da
manipolatrice.
Quando inizia a fare volontariato presso un ospedale e un gruppo di
MTMD (malati terminali, malattie degenerative) crede che sia affetta da
sclerosi multipla, per Saylor Moon
inizia la più grande e importante sceneggiata a cui abbia mai preso
parte. Basteranno un paio di bugie ed eccola lì... la morte in tutto il
suo glorioso splendore. Ti chiedi come si possa guardare una ragazza
con un tumore e invidiarla, come si possa venerare la degenerazione di
un apparato muscolare, ma per Saylor è così. Il cancro porta
commiserazione, mentre la sedia a rotelle è il simbolo perfetto
dell'handicap: "io
avrei dato tutto per stare sulla sedia a rotelle. Ecco cosa sognavo:
che la gente mi aprisse le porte, che mi lanciasse occhiate furtive."
Di certo la Saylor che conosciamo nella prima parte del libro non ci
piace, ma non poteva essere che così: egocentrica, subdola,
calcolatrice, meschina. Devo però ammettere che sono stata
attratta
dalla sua psiche, dal suo essere difettosa e dal suo insano desiderio
di volerlo dare a vedere a qualsiasi costo.
E' ovvio che cambierà. E' ovvio che sentirsi parte di un gruppo e
scoprire il valore dell'amicizia la porteranno a riconsiderare tutta la
sua vita. Improvvisamente Saylor si renderà conto che i suoi amici non
sono la malattia.
Stranamente tutti i suoi ricordi sono legati a un'infezione, a un
ricovero, alla febbre alta, a una polmonite, e vedere come queste
persone cerchino di vivere come se la morte non fosse dietro l'angolo
ad attenderli la farà sentire in colpa.
Poi ovviamente ci sarà un "lui".
Un bellissimo ragazzo affetto dall'atassia di Friedreich, un ventenne
che non cerca compassione e che non vuole la pietà di nessuno. Con lui
Saylor indosserà una, due tre... infinite maschere pur di piacergli,
pur di non mostrarsi per quello che è e di cui sta iniziando a
vergognarsi...
Ho letto La
Nostra
Ultima Canzone durante un attacco di influenza (Saylor mi avrebbe invidiata)
e vi dirò... ci stavo quasi prendendo gusto a sentirmi indolenzita e
febbricitante. Per un po', il punto
di vista distorto e malsano della protagonista mi aveva contagiato.
Ma veniamo al libro. Premesso che a tratti ho trovato lo stile
dell'autrice un po' acerbo, anche se sempre scorrevole, ma quello che
ha penalizzato un po' il mio giudizio finale è il cambiamento repentino della
protagonista che da malata cronica diventa una piccola Madre Teresa.
Ho letto tanti commenti in cui si afferma che questo della Falls è un
romanzo forte, non adatto a tutti, invece per me è esattamente il
contrario. Non lo dico a mo' di critica, ma come un dato di fatto. La
Falls racconta una storia fatta di silenzi, difficoltà familiari,
rapporti inesistenti con genitori distratti, malattie neurologiche,
psicologiche, genetiche, ma senza
grattare troppo in fondo.
Si rimane in superficie, ci si commuovere senza soffrire, ci si
affeziona ma non si patisce l'abbandono di un personaggio. In parte è
quello che voglio da questo genere di libri, perché non sopporto chi fa
leva sul dolore, dall'altra avrei preferito provare più empatia per una
storia oggettivamente straziante.
Ho però apprezzato il coraggio che ha avuto nello scrivere un libro di
questo genere.
Qui i protagonisti non hanno fisici scolpiti e cascate di capelli
boccolosi, ma mascherine per l'ossigeno, bastoni per reggersi
in piedi e parrucche per nascondere la calvizia. E forse sarà banale e
retorico, ma è giusto
che esistano romanzi che pur parlando della morte
tentano di celebrare la vita.