A cura di Silvia (12/2013)
Voto:
"Quando all'inferno non ci sarà
più posto
i morti cammineranno
sulla terra"
Non che mi servisse un libro per capire che l'uomo è
tendenzialmente stupido, ignorante ed egoista, ma con The Returned ho
avuto modo di rielaborare questa riflessione e purtroppo la mia idea
non è
cambiata, anzi...
Lo spunto di questa personalissima considerazione nasce in seguito alla
lettura del romanzo d'esordio di Jason Mott, un autore che ha dato vita
a un plot originalissimo,
a mio avviso uno dei più interessanti proposti in quest'annata di
pubblicazioni qualitativamente altalenanti, tanto più che nel 2014
uscirà
in
America l'omonima serie TV.
Cosa succederebbe se i
morti tornassero dall'Aldilà?
Credo che tutti, di primo acchito, direbbero che sarebbe meraviglioso
poter riabbracciare una persona cara, ma basterà sfogliare poche pagine
del libro per capire che le cose non sarebbero così
semplici. Quando Lucille e Harold si vedono consegnare a casa
il piccolo Jason, il bambino che avevano perso mezzo secolo prima
quando in tragiche circostanze era annegato nel fiume a soli otto anni,
le reazioni dei due coniugi sono completamente diverse. Per Lucille è
una benedizione, un motivo infinito di gioia, un chiaro segno divino,
mentre per Harold quel ragazzino non è più suo figlio, e nonostante
provi conforto nella sua presenza non riesce ad accettare una
situazione che di normale non ha nulla. Eppure quella che vivono Harold
e Lucille ormai è da considerarsi la normalità assoluta, perché i morti
stanno
tornando e vogliono ricongiungersi alle persone amate...
Il mondo però non è pronto a un fenomeno del genere tra l'altro in
continua espansione, poco
alla volta si verranno a creare vere e proprie organizzazioni di
controllo finché i redivivi
non verranno isolati e rinchiusi in
speciali centri di detenzione. I morti ritornano, ma se le persone che
un tempo li amavano, adesso non li volessero più, cosa succederebbe?
The Returned racconta
vicende tragiche, drammatiche,
sconcertanti e in parte mi ha fatto male vedere come Mott non abbia
sempre saputo tenere alta la tensione del romanzo, perché un canovaccio
del genere ha inevitabilmente bisogno di un abile e instancabile
ricamatore.
Invece a un certo punto la storia sembra divergere verso la distopia,
gli spunti di riflessione ci sono sempre, ma sono velati, spesso
incorporei, raramente dolorosi. Secondo me questa era una storia con
tutto il potenziale necessario per distruggere il lettore, e invece mi
ha lasciata tutta intera. Avrei
voluto che certi passaggi fossero
più incisivi e che l'autore curasse di più il lato introspettivo dei
suoi personaggi, ma a volte la forza emozionale che solo le parole
sanno dare è venuta a mancare.
Condivido invece la scelta di dire poco o niente sui
redivivi, d'altronde non sono loro ad aver avuto una seconda
possibilità, ma coloro che ancora non hanno incontrato la morte. Siamo
noi.
Noi che invece di erigere barriere dovremmo abbatterle, noi che abbiamo
l'occasione di chiudere dei conti in sospeso e non lo facciamo, noi che
possiamo dire quello che non abbiamo avuto il tempo di pronunciare e
magari taciamo. Noi
che come sempre roviniamo tutto.
L'epilogo l'ho trovato giusto e coerente con l'incipt del romanzo (le
parti migliori) e non so se Mott abbia mai letto qualcosa di Saramago,
ma io ci ho visto un pizzico di Cecità. La mia considerazione
finale? Purtroppo la stessa da cui sono partita, solo con una piccola
aggiunta.
L'uomo è tendenzialmente stupido, ignorante ed egoista. E non è
assolutamente pronto per i miracoli.