A cura di Silvia (10/2012)
Voto:
Quando ho iniziato questo libro dopo un paio di giorni ho dovuto interromperlo. Sognavo i paesaggi devastati di Nagasaki, bombardamenti, campi militari... Non lo so perchè. Non posso di certo incolpare l'autore, la sua scrittura per quanto diretta è anche delicata, sensibile; non affonda una lama nel cuore del lettore, piuttosto tenta di curare delle ferite e di dare dignità a un popolo abituato troppe volte a cadere per poi rialzarsi. C'è sensibilità nella penna di Pascual, ma anche una verità che per quanto raccontata con delicatezza mi ha fatto male (sto diventando troppo sensibile? Io??? Naaa). Eppure ricordare per quanto infligga dolore e sofferenza, va fatto, perchè ognuno di noi è il frutto di quello che è stato.
È il 1945 e Kazuo e Junko sono
due ragazzini prossimi al loro primo bacio quando gli
americani scagliano la seconda bomba atomica in suolo giapponese
distruggendo all'istante sogni e speranze di 70.000
anime.
Passano gli anni. Passano due generazioni.
Emilian, il nuovo
protagonista, è un fervente sostenitore del nucleare e ha grandi
progetti in merito, ma quando conosce Mei - e si ritrova a stretto
contatto con la cultura nipponica - inizia a comprenderne
l'essenza più
profonda e significativa che non è solo fatta di meditazione,
tè, e fiori di ciliegio, ma di una saggezza che le parole non possono
esprimere.
Mei altri non è che la nipote di Junko, miracolosamente sopravvissuta
al nucleare e invecchiata con un grande rimpianto. Non aver dato quel
bacio così disperatamente atteso a
Kazuo. Ma lui sarà vivo? Secondo Mei sì...
E così iniziano le ricerche, inizia la relazione tra Emilian e Mei, iniziano i dibattiti morali. Nucleare: sì o no. Tante risposte sono scontate. Questo libro non solo dopo poche righe ti fa conoscere quella faccia del Giappone prima e dopo la Guerra, ma il caso vuole che arrivi anche sugli scaffali delle nostre librerie proprio adesso, quando Tokyo è da poco dovuta scendere a patti con la Natura e la Tecnologia per l'ennesima volta. E l'autore stesso se ne rende conto, capisce di tirare in ballo una questione spinosa e attualissima.... e si scusa quasi per questo.
Ma questo libro dice altro. Ci
dice che forse una bomba - ma anche un terremoto, uno tzunami, e
qualsiasi altro cataclisma - potrà portarsi via case, alberi, vite
intere, ma non le parole. Quelle
restano, si rincorrono nel tempo, scavalcano montagne, attraversano
fiumi, e hanno una forza tale che nessuno potrà mai fermare.
Il Canto delle
Parole Perdute
è in definitiva un buon romanzo, con un bel
messaggio, e mi dispiace recensirlo solo adesso, avendolo finito ormai
da tempo, ma mi è venuto difficile parlarne. Però è
stato un
bene, perchè ho metabolizzato una cosa. A distanza di tempo mi
riaffioravano alla mente anedotti,
battute, situazioni, ma non le emozioni di Emilian e Mei. E questa cosa
mi è dispiaciuta. Questa cosa mi ha fatto riflettere. Infatti
mi
capita spessissimo nei romanzi con una doppia narrazione temporale
di amare sempre di più quella del passato o quanto meno di amarle
diversamente, di non riuscire ad amalgamarle come andrebbe
probabilmente fatto. Ed è stato così anche questa volta. Kazuo e Junko li ho nel
cuore. Emilian e Mei li ho lasciati nel
libro. Una
cosa però è certa: per l'amore non c'è tempo, non c'è nazione, non c'è
razza e non c'è cultura. Sembra scontato ma la storia ci insegna che
non sempre lo è.
Voto: 7,5