Ho Paura Torero di Pedro Lemebel

A cura di Silvia  (2011)
Voto: 


Difficile parlare di questo romanzo particolarissimo, ma una cosa è certa, di storie come Ho Paura Torero non ne leggerete più. O meglio, non leggerete più storie scritte in questo modo.
Per un attimo ho avuto il timore che lo stile ricco e piumato di Lemebel potesse nuocere alla fluidità della narrazione, invece è incredibile come, nonostante il carico di fronzoli, tutto risulti incredibilmente poetico e travolgente. Ed è stata proprio la sua penna tagliente, grottesca e surreale il punto forte dell'intero libro. Una penna che da una parte si diverte a infiocchettare con passione e nostalgia una storia d'amore impossibile e dall'altra ridicolizza con arguzia e ilarità la classe sociale che detiene il potere politico del Paese.

Siamo nel Cile di Pinochet, è il 1986, e la fata dell'angolo ricama lenzuola e tovaglie per la Santiago "bene", mentre nella sua soffitta giovani rivoltosi si riuniscono per capovolgere le sorti della nazione. Tanto... chi vuoi che sospetti di una vecchia checca artritica con tre peli in testa, ma è lo stesso, lei sta al gioco, fa finta di non capire cosa stia realmente succedendo tra le mura di casa, e tutto perché al di là delle ciglia posticce, degli immaginari tacchi a spillo e dei nastri di tulle, c'è un fragile cuore di cristallo che batte per il bellissimo Carlos. Il suo principe. E mentre lei gli dona un amore incondizionato senza chiedere nulla in cambio, mettendo addirittura a repentaglio la propria incolumità, nell'enorme dimora di Pinochet si consuma il dramma del generale; l'uomo temuto da tutti, l'uomo che sta terrorizzando il Cile, quello stesso uomo che si è macchiato di crimini contro l'umanità viene tratteggiato da Lemebel come un codardo ossessionato dalla paura di morire e vittima silenziosa di una moglie ciarliera quanto una gallina. È qui che la satira si fa pungente, è qui che dietro al riso si nasconde il pianto. L'autore apre uno squarcio su un periodo storico buio e opprimente, ma la lettura si mantiene sempre leggera e frivola, a tratti anche grottesca, nonostante sia noto a tutti cosa abbia significato per il Cile la dittatura.

Le spezzavano il cuore i singhiozzi di quelle signore che frugavano tra le pietre, bagnate fradice sotto i getti del cannone ad acqua, che chiedevano dei loro cari, che bussavano a porte di metallo che non si aprivano, respinte da un fiotto d’acqua davanti al Ministero della giustizia, aggrappate ai pali, con le calze rotte, tutte spettinate, con le mani strette al petto per non farsi strappare da quell’acqua scura la foto attaccata al cuore."

Lemebel usa la penna come una spada. Ridicolizza e svilisce l'immagine di Pinochet rendendo i siparietti tra lui e la moglie la parte più comica dell'intero libro; generale e consorte sono tratteggiati in modo volutamente ridicolo, aggettivo che non appartiene invece alla Fata. Lei che canta vecchie canzoni romantiche, che cela la sua sessualità sotto grandi cappelli gialli e si muove sinuosa tra pizzi e stoffe colorate, no, lei ridicola non lo è nemmeno per un secondo. È semplicemente una Penelope domestica che coltiva sogni nella sua testa da uccellino ossigenato, una sirena senza mare, una fata senza bacchetta, anche se, di magie, sa farne eccome. 

Dalla sua bocca da usignolo sdentato prende vita la storia di un sentimento unico, sensuale e castigato allo stesso tempo. Perché Ho Paura Torero sarà anche il grido sovversivo del fronte patriottico, sarà anche ribellione, dignità e sofferenza, ma è soprattutto un inno all'amore, quell'amore che non conosce la diversità, capace di abbattere barriere, costumi, pregiudizi e ipocrisie.  

"Sai che ti voglio bene più di un pochino. Non è lo stesso, tra amore e affetto c'è un mondo di differenza. Ti voglio bene con la tua differenza."



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Titolo originale

tengo miedo torero

Casa Editrice 
Marcos y Marcos, 2011

Genere
narrativa, drammatico, storico

Pagine 202

Prezzo € 15,00