A cura di Silvia (11/2014)
Voto:
Dicono ch’io debbo morire. Dicono che ho sottratto il respiro agli uomini, e che adesso debbo subire la stessa sorte. E allora immagino che siamo tutti come fiammelle di candele accese, scintillanti, tremule nell’oscurità, e poi immagino l’ululato del vento, e nel silenzio della stanza sento dei passi, passi che si avvicinano minacciosi, che vengono a soffiare su di me e a ridurre la mia vita a un refolo di fumo grigio. |
Avevo finito di dire proprio ieri, sul blog, che sono sempre a mio agio
quando parlo di libri, ed ecco che mi ritrovo tra le mani un romanzo di
cui vorrei parlarvi al meglio e non ci riesco. Sì, avete capito bene...
sono in difficoltà.
Il punto è che Ho Lasciato
Entrare la Tempesta è uno di quei libri che definirei importanti.
Per com'è scritto, per la storia che racconta, per il minuzioso lavoro
di ricerche che ha alle spalle.
L'autrice, una giovane esordiente non ancora trentenne, è stata
bravissima, ma già a scrivere "bravissima" mi sento banale e scontata,
e io non vorrei nulla di banale
e scontato in queste poche righe.
Solo che mi sento quasi in imbarazzo. Come quando sono davanti ai miei
autori preferiti, vorrei far loro mille domande e poi mi si attorciglia
la lingua, la salivazione parte per la tangente e io devo ringraziare
l'Altissimo per le due parole che sono riuscita a spiaccicare a stento.
Ecco, in questo caso sono le mani a tentennare sulla tastiera.
Tentennano perché quella di Agnes Magnúsdóttir è una storia vera, ed è
una storia che strazia e annienta.
Condannata a morte per l'omicidio di Natan Ketilsson e in attesa che il
boia cali l'ascia sul suo collo, Agnes racconta alle uniche persone che
sente vicino la sua versione dei fatti.
È una
Via Crucis
lenta e sofferta e insieme a padre Tòti, il pastore che Agnes ha scelto
per accompagnarla con fede al patibolo, c'ero anch'io. Ad ascoltare la
vita di una giovane donna che ha conosciuto la morte quando era solo
una bambina. A immaginarmela bella e fiorente, quasi una strega agli
occhi della gente comune, troppo intelligente e anticonformista per
l'Islanda del XIX Secolo. La vedevo lavorare nei campi, persa nei suoi
pensieri, affogata dai suoi sogni, aggrappata a quelle uniche cose che
nessuno poteva negarle. Non ancora almeno.
Il romanzo è strutturato da capitoli in terza persona che si
alternano a quelli in prima, i più belli sinceramente, quelli in cui la
voce di Agnes, prima reticente, poi trascinante e dirompente come la
tempesta che l'ha travolta, si fa strada verso la verità. Perché tutto
ruota intorno a una sola domanda.
Agnes ha davvero ucciso Natan?
Si scoprirà attraverso una costruzione dei fatti sì romanzata, sì
frutto delle ipotesi dell'autrice, ma anche documentata da scambi
epistolari, atti ministeriali, registri parrocchiali.
Un esordio incredibile che trasuda dignità e dolore, in grado di
instillare ansia, tanta ansia, perché per una donna come Agnes speri
sempre nel miracolo.