A cura di Silvia (06/2016)
Voto:
Ho iniziato a scrivere questa recensione già cinque volte e
per cinque volte l'ho cancellata.
Sei volte...
Sette...
Uffa...
Il punto è che vorrei far trasparire in modo limpido e diretto tutto
quello che ho provato durante questa lettura, ma non sempre è facile,
soprattutto quando ci si mette davanti alla tastiera con gli occhi
ancora lucidi.
Sì, ormai Francesca ci ha preso gusto a farmi piangere.
Nonostante avessi avuto il piacere e l'onore di leggere il suo libro
quando era ancora un insieme di file
che mi inviava per email uno dopo
l'altro, accoccolarmi sul divano, prendere tra le mani questo piccolo
ma meraviglioso tomo rilegato in carta acquarello - quella carta che ha
sempre sognato potesse custodire una sua storia - è stato completamente
diverso. Poterlo consumare in poche ore ha ravvivato un fuoco che non
si era mai spento.
E così eccomi di nuovo a Saint Rhémy, all'inizio del Millenovecento,
all'alba di una Guerra
fatta di ideali spezzati e anonime tombe di
fango e sabbia.
Tra le dure rocce della Val d'Aosta la gente vive grazie al sudore
della fronte e al duro lavoro delle braccia. Uomini che spaccano legna,
tagliano il frumento, pascolano gli animali; donne che piangono i figli
morti, perché la montagna sa essere impietosa e il gelo assassino, ma
nonostante tutto riescono a essere la corda che tiene unita la famiglia
e a mandara
avanti.
Gli abitanti del borgo sono così, umili e alla mano, compìti e
religiosi, guidati da un parroco, Don Agape, goffo e
impacciato. La domenica si inginocchiano in chiesa, confessano i loro
peccati, pregano a testa china, e si sentono dei perfetti cristiani
anche quando cambiano strada pur di non incrociare il cammino di
Fiamma, la giovane
strega dai capelli
color
dell'inferno che vive ai margini del bosco e al cui passaggio tutti si
fanno il segno della croce.
Eppure, quella stessa gente che la maledice di giorno, al calar della
sera bussa al suo capanno per
avere uno degli intrugli miracolosi che solo lei sa preparare, capaci
di alleviare le pene del corpo e della mente.
Nel borgo l'ignoranza è un male difficile da estirpare. Tutto quello
che non si conosce spaventa. Tutto quello che è diverso si evita.
E
Fiamma è sola più che mai, perché Raphaël, l'unico amico che abbia mai
avuto, bello, solare, con una spiccata e innata capacità di amare a
prima vista, aveva salutato con il sorriso sulle labbra e la speranza
nel cuore quelle montagne che l'avevano visto crescere, senza sapere
che sarebbe stato un addio e non un arrivederci.
Le manca il suo amico, e manca anche a Yann che non riesce a darsi
pace. Sarebbe dovuto partire con il fratello, avrebbe voluto essere per
lui uno scudo e un'armatura, ma non ha potuto, e tutto per
colpa di
Fiamma; anni prima, quando la morte avrebbe potuto alleviare le sue
pene, lei gli aveva rimesso l'anima in corpo, dannandolo per sempre,
costringendolo a un'esistenza di rimpianti e solitudine.
Si scrutano da lontano Yann e Fiamma, senza rivolgersi mai la parola.
Lei, con quegli occhi così profondi, in grado di scavarti dentro e di
estorcerti i segreti più proibiti, lui chiuso in un guscio di astio e
indifferenza, incapace addirittura di pronunciare il suo nome ad alta
voce. Si sfidano, si disprezzano, ma si cercano anche, sono come due animali
feriti, pronti a sfoderare i denti e ad affilare gli artigli.
Se
penso che Dentro Soffia
il Vento conta poco più di duecento pagine,
mi rendo conto che ha una forza narrativa che in pochi possono vantare,
dirompente ed immediata.
Non tutti sono in grado di condensare così
tante emozioni in uno spazio talmente ridotto. Amicizia, amore,
risentimento, rivendicazione. La Guerra. L'ambiente che non fa da
sfondo alle vicende, ma che ne è protagonista, una natura incantevole,
così potente e distruttiva, capace di vincerti, ma anche di salvarti. E
poi quella sottilissima linea che separa il mondo dei vivi da quello
dei morti, e gli zingari, coi loro nastri dai colori sgargianti e una
saggezza ancestrale a contraddistinguerli.
Il poche pagine c'è tutto questo, perché Francesca è un'artigiana di
sentimenti ed emozioni, la sua penna è polvere e ricordi, magia e
verità. E mai una volta punta il dito contro, non c'è morale in questo
libro, ma solo cuore, passione, commozione.
Riesco a immaginarla
mentre scrive travolta da quel vento imperituro
che soffia non solo tra le righe, ma anche nel suo petto,
un vento che
non le dà tregua e le permette di terminare questa storia in tempi
record. Ricordo i primi capitoli,
una protagonista che non era Fiamma, ma Ester, una donna completamente
diversa, dal carattere difficile, interessante a mio avviso, ma forse
poco
collaborativa ai fini della storia che Francesca voleva raccontare.
Perché tutto era nato da una fotografia vista quasi per caso in cui era
ritratta una lapide dedicata agli zingari stagnini, e tutto lì doveva
finire. Francesca riesce in tutto. A scrivere la storia che voleva, a
inviarla al concorso Neri Pozza, a vincerlo. Ma noi che un po' la
"conosciamo" non
avevamo dubbi, quella
casa editrice che lei guardava con un amore quasi
reverenziale è sempre stata la sua casa, le
mancava solo
la chiave.
"Il dubbio è l'unica verità che conosciamo. Il futuro è sulla stessa strada del passato: ogni cosa che ci viene offerta è già compiuta." |