C'è stato un tempo in cui Stephen King riempiva i miei sogni
di bambina trasformandoli in veri e propri incubi. Ero nell'età in cui
avevo bisogno di avere paura, perché l'orrore mi rendeva più forte, mi
portava a sfidare i miei limiti, ma a distanza di sicurezza. Nella storia c'era il cattivo da
sconfiggere, ma il libro era il mio scudo.
Oggi come oggi avere paura è più difficile, un po' perché crescendo mi
sono corazzata, un po' perché la letteratura offre spunti sempre meno
interessanti in questo campo, ma Joe Hill, da buon erede di suo padre,
con alcuni suoi titoli era riuscito a far riaffiorare la bambina di un
tempo, quella che leggeva di nascosto, sotto le coperte, con la torcia
accesa e una ventina di peluche a proteggerla nel letto.
Figuratevi la mia gioia quando hanno annunciato l'uscita della sua
ultima fatica.
Fireman doveva essere un titolo capace di infiammare gli animi, invece
- ahimé - manca di
spregiudicatezza ed è anche eccessivamente buonista.
Almeno per ora, perché, vi ricordo, questa è solo la prima parte di un
titolo che è stato diviso in due.
In un futuro molto prossimo una virulenta epidemia sta
decimando la popolazione mondiale; sembra che dal Trichophyton draco incendiarius
non ci sia scampo e venirne contagiati significa morire per
autocombustione.
Il panorama che si prospetta al lettore è totalmente apocalittico; un
mostro contro il quale non si hanno armi per combatterlo, il panico che
genera il caos, ospedali al collasso, gente barricata in casa per
proteggersi da un killer invisibile.
Harper Grayson lavora come infermiera e non si risparmia mai, nemmeno
per un secondo, nemmeno quando la scaglia
di drago si manifesta sulla sua pelle. Ha paura, certo, ma
è incinta e vuole a tutti i costi portare a termine la gravidanza...
chiede solo di sopravvivere nove mesi.
Sono pagine, queste, in cui si
respirano le ceneri dei corpi bruciati, la tensione è
oltremodo palpabile e come l'autore in pochi passaggi riesca a
sgretolare il rapporto tra Harper e suo marito ha dell'incredibile:
lui, che sembrava volerla proteggere dal male supremo, in preda alle
fobie più deliranti tenta di ucciderla pur di non farsi contagiare,
provocandone la fuga.
È in un momento di pura angoscia e inquietudine che la storia entra
incredibilmente in una fase
di stallo. Attenzione, non di noia, se c'è una cosa che
Joe Hill sa fare è scrivere, ma a conti fatti succede poco o niente.
Harper trova rifugio ai margini della città e scopre una società di
persone infette che riescono a controllare la scaglia di drago. Come?
Con la gratitudine, l'amore, i pensieri felici. Si ritrovano in chiesa
e cantano, finché un'esplosione di luce non si impadronisce dei loro
corpi risanandoli. C'è la devastazione totale là fuori, ma loro
cantano, e poco alla volta Harper riesce a sprigionare la Mary Poppins
che è in lei in un tripudio di melodie e tonnellate di zucchero.
Insomma, pare che la
pandemia si possa controllare a suon di gorgheggi e che la paura funga
da detonatore. (Whaaat?!?!
).
Quando parlavo di buonismo mi riferivo proprio a questo e al potente messaggio sociologico
che si manifesta fin da subito con una spietata critica a Trump la cui
ideologia faceva già discutere nonostante non fosse ancora presidente
degli Stati Uniti (per
chi abbia poi votato Joe Hill direi che non è più un mistero ).
I contaminati sono emarginati, tentano di integrarsi ma vengono isolati
in quanto potenzialmente pericolosi, pronti a esplodere da un momento
all'altro... Vi dice niente tutto questo? Immigrati... attentati...
psicosi di massa. Mi
sembra la banalizzazione di un problema non piccolo. Siamo
noi i cattivi adesso? Perché guardiamo in modo circospetto i flussi di
stranieri che arrivano a ondate, quando magari solo uno è un potenziale
kamikaze? Non lo so, ma non credo, di certo quando leggo un libro
l'intrattenimento che cerco esula da queste riflessioni.
Messaggi subliminali a parte, qualcosa si smuove verso la fine, quando
le storie dei singoli contaminati prendono un po' più forma, e quando
John, un uomo che brucia di fiamme e dolore, diventa finalmente la
chiave di volta in un rebus a cui mancano ancora molti pezzi.
Peccato però che sul romanzo sembra sia scesa improvvisamente la lama
di una ghigliottina; nessun cliffhanger, nessun momento topico, nessuna
frase d'effetto che chiuda questa prima parte facendola apparire
inutilmente tronca. Però chissà. Forse è il momento della svolta. Forse
adesso ritroverò il mio Joe.