A cura di Laura (03/2013)
Voto:
Charlotte Brontë è una delle poche autrici che riescono a farmi
immergere e coinvolgere totalmente nel romanzo, a trasmettermi e a
farmi sentire quello che sente la/il protagonista. Una scrittrice
straordinaria a cui bastano pochi tratti e un paio di righe per creare
atmosfere e caratteri indimenticabili.
Tutti sanno (chi ha letto almeno
un libro di quest’autrice) le
peripezie che questo romanzo ha affrontato nel corso del tempo. È
l'opera prima della scrittrice inglese, rifiutato dall'editore, e più
volte proposto nel corso degli anni dalla stessa autrice che non ha mai
potuto vederlo pubblicato se non dopo la sua morte.
La trama è molto semplice: il
protagonista è William Crimsworth, orfano
di entrambi i genitori che dopo aver terminato gli studi e aver
rifiutato l'aiuto dei parenti materni, decide di diventare commerciante
e di raggiungere il fratello maggiore, ora affermato imprenditore che
non vede da qualche tempo, nel paese dove vive e lavora. Qui conosce
la vera natura del fratello, un uomo prepotente, dispotico e
irascibile.
Dopo alcuni mesi, stufo della sudditanza nei confronti del
fratello, grazie alla raccomandazione dell'unico amico Hudsen,
conosciuto nel frattempo in questa cittadina, decide di andare via e
trovare un lavoro in Belgio. Qui diviene insegnante d'inglese in una
scuola maschile e, in seguito, in una femminile, la cui direttrice è
Zoraide Reuter, donna
falsa e manipolatrice, ma anche seducente e
incantatrice. Qui conosce Frances, una ragazza senza
mezzi, che segue
da esterna il corso d'inglese e che da allieva diventa
insegnante...
Nonostante la trama semplice, un
protagonista un po' antipatico
(diciamo che non sprizza
simpatia da tutti i pori), ottuso
e
narcisista, il romanzo è molto carino.
Il libro è, secondo il mio modesto parere, il punto fermo di tutta la
narrazione brontiana, da cui si dipanano i romanzi Shirley e Villette.
È un esempio di finissima
tecnica narrativa, di un lessico superbo
presente in tutte le pagine.
Il libro affronta in maniera realistica
(forse troppo per quei
tempi) temi importanti come lo scontro di
classe, la relazione amorosa tra allieva e insegnate (che poteva
suscitare scandalo nella società vittoriana), contiene non poche
tematiche femministe e altri temi cari alla narratrice, quali: il
valore del lavoro, l'integrità morale, l'amore, la parità nel
matrimonio, la religione e le differenze sociali.
Il Professore è, in realtà, un gioco di
specchi, dove Charlotte è sia
il protagonista maschile sia la co-protagonista femminile, Frances,
alter ego dell'autrice. Questo gioco rende la storia
d'amore poco
coinvolgente per il lettore e dispiace dirlo, ma nonostante la notevole
capacità rappresentativa della psiche e dell’immaginario maschile, la
Brontë non è un "uomo" molto convincente.
I personaggi, tra cui il protagonista, sono un po' tutti insipidi
tranne Hudsen, vero deux
ex-machina del romanzo, amico e nemico del
protagonista, che appare poco ma quando compare troviamo pagine di
travolgente vitalità; anche Frances, è un altro bel personaggio, di cui
ci viene mostrata l'evoluzione. Può dare l’apparenza di essere un po'
scialba, ma è comunque una donna di carattere, sostenuta da una forte
volontà di apprendere e migliorare se stessa, con umiltà e
consapevolezza di sé e del proprio potenziale; una self made woman
capace di rialzarsi dopo ogni caduta affermando sempre la propria
indipendenza.
Il libro è di aspirazione autobiografica ed è sicuramente inferiore al
conosciutissimo Jane Eyre perché meno
appassionante, avvincente e manca
quella malinconia presente nei romanzi successivi, però merita di
essere letto nonostante tutti i fastidiosissimi e odiosissimi
pregiudizi presenti nel testo nei confronti dei cattolici, i belgi, i
francesi, i fiamminghi, insomma verso tutti quelli che non sono inglesi
e protestanti. Questi
pregiudizi, per gran parte razzisti, rendono, in
certi tratti, la lettura pesante e smorzano la bellezza del romanzo.
Croce e delizia dell'autrice, il romanzo, merita di essere letto per
conoscere una Charlotte la cui scrittura (non dico acerba perché non lo
è, anzi!) non è ancora influenzata dai tanti lutti che avverranno negli
anni successivi.
"Ci sono
impulsi che possiamo controllare, ma ce ne sono altri che controllano
noi, perché ci raggiungono con un balzo da tigre e diventano nostri
prima ancora che li abbiamo visti. Ma forse questi impulsi sono di rado
del tutto cattivi; forse la ragione, con un procedimento tanto breve
quanto silenzioso, un procedimento che è già finito prima ancora di
essere percepito, si è accertata alla bontà dell’azione che l’istinto
sta meditando e si sente giustificata a restare passiva mentre l’azione
stessa viene eseguita." |